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A poco più di un mese dall'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca come 47° Presidente degli Stati Uniti, la politica estera americana sembra avviarsi verso una fase di forte attivismo. Tra le prime mosse della nuova amministrazione spiccano i negoziati con la Russia, avviati in Arabia Saudita per cercare una soluzione al conflitto in Ucraina, e la proposta di trasferire i palestinesi di Gaza in Egitto e Giordania. Queste iniziative hanno già provocato reazioni contrastanti: da un lato, le cancellerie europee contestano l'esclusione dai colloqui di pace; dall'altro, il piano su Gaza incontra l'opposizione di Cina e Paesi arabi.
In questo quadro di rinnovata assertività diplomatica, torna alla ribalta un altro nodo irrisolto della politica estera statunitense: la Corea del Nord. Quali conseguenze potrebbe avere il ritorno di Trump al potere nei rapporti con Pyongyang?
Durante i due mandati di Barack Obama, la politica americana verso la Corea del Nord era caratterizzata dalla cosiddetta “pazienza strategica”, una strategia basata sull’isolamento diplomatico e sulle sanzioni per spingere Pyongyang al negoziato. Con l’elezione di Donald Trump nel 2017, la questione nordcoreana tornò al centro della politica estera statunitense, portando a tre storici summit tra il presidente americano e Kim Jong-un: il primo a Singapore nel 2018, seguito da quelli di Hanoi e della Zona Demilitarizzata coreana nel 2019. Questi incontri, per quanto significativi sul piano diplomatico, non portarono a risultati concreti. Il nodo principale del fallimento risiedeva nell'obiettivo americano di ottenere la denuclearizzazione della Corea del Nord, una richiesta che Pyongyang non avrebbe mai accettato.Kim Jong-un, infatti, è consapevole che l’arsenale nucleare rappresenta una garanzia di sopravvivenza del suo regime. La recente fine del regime degli Assad in Siria è un chiaro esempio.
In secondo luogo, è plausibile una ripresa dei negoziati con la Corea del Nord, soprattutto alla luce del rapporto personale che Trump vantava di aver costruito con Kim Jong-un. Tuttavia, questa volta Washington potrebbe evitare di riproporre la questione della denuclearizzazione, consapevole dell’impasse a cui aveva condotto in passato. Ci sono anche motivazioni concrete per un cambio di approccio: a gennaio 2024, Kim Jong-un ha ufficialmente rinunciato alla riunificazione pacifica delle due Coree come obiettivo politico, arrivando persino a demolire il simbolico Arco della Riunificazione a Pyongyang. Questo segnale potrebbe indicare che il regime nordcoreano, almeno nel breve-medio periodo, non è interessato a un conflitto con Seoul, ma piuttosto a rafforzare la propria economia, come dichiarato dallo stesso Kim il mese successivo.
Al momento, la strategia di Trump sembra basarsi più sulla leva economica che su quella militare: minacciando l’imposizione di dazi, soprattutto alla Corea del Sud, Washington potrebbe cercare di spingere Seoul ad aumentare le importazioni di prodotti americani come “prezzo” per la protezione che gli Stati Uniti continuano a offrire contro la minaccia nordcoreana. In ogni caso, un ridimensionamento dell’impegno militare statunitense nella regione potrebbe innescare un significativo riarmo da parte di Tokyo e Seoul, con effetti di vasta portata sugli equilibri strategici dell’Asia nordorientale. In conclusione, il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe segnare una svolta nei rapporti con Pyongyang, con effetti potenzialmente destabilizzanti sull’intero assetto regionale.
Infine, il probabile disimpegno militare americano in Europa sotto una presidenza Trump potrebbe trovare un corrispettivo anche in Asia. Già nel 2016, Trump aveva suggerito che Giappone e Corea del Sud dovessero sviluppare un proprio arsenale nucleare anziché dipendere dalla protezione americana. Tuttavia, mentre Seoul sembra più incline a considerare questa opzione per rafforzare la propria difesa, per Tokyo la questione è più complessa, sia per i vincoli imposti dalla sua costituzione sia per le sensibilità storiche legate al nucleare.
Un'eventuale corsa agli armamenti da parte di Giappone e Corea del Sud rappresenterebbe una sfida per Kim Jong-un, poiché il primato regionale dell’arsenale nucleare nordcoreano verrebbe messo in discussione. Ciò potrebbe spingere la dinastia Kim a percepire una minaccia crescente, con conseguenze imprevedibili per la stabilità dell’area.
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U.S. President Donald Trump and North Korean leader Kim Jong Un shake hands during a meeting at the demilitarized zone (DMZ) separating the two Koreas, in Panmunjom, South Korea, June 30, 2019. KCNA via REUTERS |
(EN)
Just over a month after Donald Trump’s inauguration as the 47th President of the United States, American foreign policy appears to be entering a phase of heightened activism. Among the new administration’s first moves are negotiations with Russia, launched in Saudi Arabia to seek a resolution to the conflict in Ukraine, and a proposal to relocate Palestinians from Gaza to Egypt and Jordan. These initiatives have already sparked mixed reactions: on one hand, European governments are protesting their exclusion from the peace talks; on the other, China and Arab countries are opposing the Gaza plan.
In this context of renewed diplomatic assertiveness, another unresolved issue in U.S. foreign policy is coming back into focus: North Korea. What consequences could Trump’s return to power have on relations with Pyongyang?
During Barack Obama’s two terms, U.S. policy toward North Korea was characterized by the so-called "strategic patience" approach, which relied on diplomatic isolation and sanctions to pressure Pyongyang into negotiations. With Donald Trump's election in 2017, the North Korean issue quickly moved to the forefront of U.S. foreign policy, leading to three historic summits between the American president and Kim Jong-un: the first in Singapore in 2018, followed by meetings in Hanoi and the Korean Demilitarized Zone in 2019.
While these meetings were significant on a diplomatic level, they failed to produce concrete results. The main reason for this failure was the U.S. insistence on North Korea's denuclearization—an objective Pyongyang would never accept. Kim Jong-un is well aware that his nuclear arsenal is the ultimate guarantee of his regime’s survival. The recent downfall of the Assad regime in Syria serves as a clear example of what can happen to leaders without nuclear deterrence.
First, a new Trump administration will likely break away from the approach taken by his predecessor, Joe Biden, who had grouped Pyongyang with China, Russia, and Iran as ideological adversaries. Trump’s first moves in 2025, particularly regarding the Ukraine crisis, have already demonstrated a less ideological approach to international affairs
Second, a revival of negotiations with North Korea seems plausible, particularly given Trump’s claim to have built a personal rapport with Kim Jong-un. However, this time, Washington may avoid raising the issue of denuclearization, recognizing the deadlock it created in the past. There are also concrete reasons for a shift in approach: in January 2024, Kim Jong-un officially abandoned peaceful reunification with South Korea as a political goal and even demolished the symbolic Arch of Reunification in Pyongyang. This move suggests that, at least in the short to medium term, North Korea is not interested in a conflict with Seoul but is instead focused on strengthening its economy, as Kim stated the following month.
Finally, the likely U.S. military disengagement in Europe under a Trump presidency could parallel Asia. As early as 2016, Trump suggested that Japan and South Korea should develop their nuclear arsenals rather than rely on American protection. However, while Seoul appears more open to this possibility as a means of strengthening its defense, the issue is far more complex for Tokyo due to constitutional constraints and historical sensitivities surrounding nuclear weapons.
A potential arms race involving Japan and South Korea would pose a challenge for Kim Jong-un, as North Korea’s regional nuclear supremacy would be called into question. This could lead the Kim dynasty to perceive an increasing threat, with unpredictable consequences for regional stability.
For now, Trump’s strategy appears to rely more on economic leverage than military action: by threatening tariffs, particularly on South Korea, Washington could pressure Seoul to increase imports of American products as the "price" for the security the U.S. continues to provide against the North Korean threat. In any case, a reduced U.S. military presence in the region could trigger a significant military buildup by both Tokyo and Seoul, with far-reaching consequences for the strategic balance of Northeast Asia. Trump’s return to the White House could mark a turning point in U.S.-North Korea relations, potentially destabilizing the entire regional order. Whether this shift will lead to greater stability or new tensions remains an open question.
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Kim Jong-un and Donal Trump at the Metropole Hotel in Hanoi, Vietnam | Image: Picryl
- Gianluca Boccato, 13/03/25
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